AMANDINE, L’OSTRACISMO OBBLIGATORIO È CRUDELE E DISUMANO

Sono nato nel 1983 a Tolosa, in Francia, in una famiglia di Testimoni di Geova. I miei primi ricordi sono intrecciati con le rigide dottrine e le rigide aspettative che derivavano dall’essere parte dell’organizzazione. Da bambino, mi sentivo spesso limitato, circondato da regole che dettavano ogni aspetto della vita: cosa credere, con chi associarmi e persino come pensare.

Quando ho compiuto 14 anni, desideravo ardentemente un modo per rendere più sopportabili i miei anni da adolescente e al tempo stesso assicurarmi un futuro al di là delle mura del controllo religioso. Mi resi conto che per ottenere un po’ più di libertà nei miei movimenti avrei dovuto integrarmi. Con riluttanza, decisi di farmi battezzare, non per fede, ma come strategia di sopravvivenza calcolata. Il battesimo mi avrebbe concesso una parvenza di fiducia e ridotto il controllo costante. Ero diventato abile nel fingere.

Prima di questo, avevo osato esprimere dubbi sulle convinzioni dei miei genitori. La loro reazione è stata rapida e severa. Mi hanno manipolato emotivamente e ritirato l’affetto, rendendo chiaro che il dissenso significava isolamento. Il prezzo emotivo è stato schiacciante, lasciandomi senza altra scelta che reprimere i miei veri sentimenti e recitare la parte che ci si aspettava da me.

A 19 anni, ho finalmente visto una via verso la libertà. Sono stato accettato in una scuola a 500 chilometri da casa, che mi ha offerto la possibilità di un futuro più luminoso. Mi sono immerso nell’istruzione superiore, spinto dalla consapevolezza che il successo accademico avrebbe potuto essere la mia salvaguardia. Avevo bisogno di una carriera stabile su cui contare se, e quando, la mia famiglia mi avesse respinto per aver abbandonato la religione.

Nel 2002, ho fatto il coraggioso passo di recidere formalmente i legami. Ho scritto una lettera all’associazione dei Testimoni di Geova di Blagnac, chiedendo di essere rimosso dal loro registro. La risposta non è arrivata dall’organizzazione, ma dai miei genitori: sono stato ufficialmente escluso.

Le ricadute sono state devastanti. Mia sorella, un tempo la mia confidente più intima, ha gradualmente tagliato i ponti. Mi ha detto che non poteva più avere a che fare con me a causa della mia decisione. Perderla è stata come una ferita che non si è mai veramente rimarginata, lasciando un dolore che il tempo ha solo aggravato.

Il rapporto con i miei genitori resta distante e frammentato. Ci vediamo solo una volta all’anno e, anche allora, mi sembra di parlare con persone ammantate di dogmi religiosi, filtrando ogni parola attraverso la lente dell’indottrinamento. Non sono più gli individui che conoscevo un tempo, ma estensioni di un sistema di credenze che privilegia la conformità rispetto all’amore familiare.

L’isolamento emotivo è stato profondo, influenzando la mia salute e il mio benessere in modi difficili da esprimere. Vivere con la consapevolezza che l’amore della mia famiglia è condizionato, un privilegio revocato nel momento in cui ho affermato la mia autonomia, è un fardello pesante.

Condivido la mia storia con la speranza che un giorno l’ostracismo obbligatorio venga riconosciuto per quello che è: una pratica crudele e disumana che frattura le famiglie e lascia cicatrici durature. Dovrebbe essere condannato e punito, risparmiando ad altri il dolore che ho sopportato io.

S.M.S.

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