DIRITTO AL RISARCIMENTO IN FAVORE DI UN TESTIMONE DI GEOVA CHE AVEVA RIFIUTATO TRASFUSIONE

UNA RECENTE SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MODENA CHE SEGNA UNA TAPPA MOLTO IMPORTANTE

dall’ Ufficio comunicazione e stampa della Congregazione Cristiana del Testimoni di Geova

IL CASO: Con la sentenza del 31 agosto 2023 il Tribunale di Modena ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per le trasfusioni espressamente rifiutate da una paziente alla quale sono state praticate mentre si trovava in uno stato di incoscienza.

Si tratta della prima volta che viene riconosciuto, in sede civile, il diritto al risarcimento in favore di un paziente Testimone di Geova che al momento del rifiuto della trasfusione era incosciente.

Il rifiuto era stato rappresentato ai medici dal marito nominato quale suo amministratore di sostegno, in nome e per conto dell’amministrata.

La sentenza, oltre a valorizzare il ruolo dell’AdS in tali circostanze critiche, ha ribadito che anche prima della legge 219/2017 il paziente aveva pieno diritto di rifiutare le emotrasfusioni.

Il giudice ha dunque liquidato 30.000 euro per il danno morale subìto dalla paziente e 8.000 euro al marito (e amministratore di sostegno) come danno morale. Nonostante le trasfusioni, la donna è tristemente deceduta dopo più di un mese. Pertanto, il giudice ha voluto incrementare del 50% il valore minimo del risarcimento di 20.000 euro previsto dalle tabelle di riferimento.

Questo, afferma la sentenza, è stato fatto perché il giudice ha riconosciuto “le conseguenze del pregiudizio e il tempo di percezione dello stesso e, dunque, la durata della sofferenza” per i 37 giorni in cui la donna è rimasta in vita dopo la trasfusione.

Oltre a questo, nella sentenza sono stati espressi alcuni importanti principi.

Ad esempio dalla pag. 5 in poi vi si legge che i medici “hanno negato, alla stessa, una dignità nel processo del morire, imponendole decisioni terapeutiche contrarie alle sue convinzioni religiose, così annientando la sua identità”.

Il giudice ha riconosciuto che “l’esercizio della funzione di garanzia in capo ai medici, così come pure l’obbligo contrattuale di adempimento della prestazione, non possono spingersi fino a travalicare diritti inviolabili di ogni essere umano e costituzionalmente protetti (artt. 2, 13 e 32 Cost.)”.

Quanto invece alla posizione dell’amministratore di sostegno, il giudice ha rilevato che “lo stesso è stato privato della possibilità di accompagnare dignitosamente la moglie verso la fine della sua vita. Considerato il legame che li univa non solo nella vita ma altresì nella condivisione della fede religiosa, lo stato d’animo e la sofferenza che una tale privazione deve avere determinato sono comprensibili e immaginabili e non richiedono ulteriori indagini e commenti”.

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